Intervista
a Gianna Tarantino: La fotografia come arte dell’attenzione
- Cenni
biografici chi è Gianna Tarantino?
Gianna Tarantino (Taranto 1957) è fotografa e ricercatrice. Appassionata di grafica digitale, da anni attiva
nell’ambito della comunicazione multimediale, ha curato cura i siti web dell’ Associazione Culturale Crocevia , dell’ Istituto Mediterraneodi Psicologia Archetipica ; realizza e cura alcuni Blog nell’ ambito
scientifico, artistico e psicoanalitico. Opera interventi in ambito artistico e
culturale, organizza convegni e mostre fotografiche.
- Cosa è la fotografia? Che
rapporto c'è tra il fotografo e il mezzo?
La mia passione per la fotografia è arrivata per me in tempi
relativamente recenti, con l’avvento della fotografia digitale. Questa
“rivoluzione” digitale è stata
un’occasione straordinaria e per così dire “democratica” che ha dato a
tutti la possibilità di avvicinarsi a questa tecnica con facilità e ad alcuni di sviluppare e/o avvicinare la
propria arte proprio attraverso di essa. Così è accaduto a me, che grazie alla
semplicità, alla facilità di scattare e elaborare al computer, alla comodità di
poter portare lo strumento sempre in borsetta, alla velocità della condivisone
degli scatti, ho stretto un’amicizia con la mia compatta digitale, che porto
sempre con me, che dura ormai da qualche tempo.
So che sono in molti, specialmente tra i fotografi
professionisti, a non essere d’accordo con questa mia visione sulla fotografia
digitale come grande opportunità, pensando - pur con più di qualche ragione,
beninteso - che essa abbia portato a un peggioramento della fotografia in
generale, intesa come “opera d’arte” fine a sé stessa.
Ma secondo me bisogna intendersi sul significato di
Fotografia e sullo scopo che si prefigge chi a quest’arte si avvicina.
Personalmente intendo la fotografia come un mezzo, non un fine. Un mezzo per
raggiungere qualcos’altro che non sia il solo prodotto, cioè la foto in sé.
Quindi essendo la fotografia un mezzo e non un fine, lo strumento che uso per
avvicinarmi a questo fine è relativamente importante. La macchinetta
fotografica deve poter fare buone foto e avere buone caratteristiche tecniche, certo,
ma essa è al servizio del fine, dunque ben venga la semplificazione digitale,
che semplifica la tecnica ma non intacca il fine.
Per me la fotografia è ricerca. E’ conoscenza. E’
osservazione della realtà in quel momento. E’ ricezione dell’impressione di ciò
che è.
L’obiettivo è il mezzo che mi ricorda che dall’altra parte
ci sono io che osservo ciò che ho davanti a me. Tanto più riesco a essere
presente al momento della ricezione di quell’impressione che sto fotografando,
tanto più mi avvicino all’ambito della mia ricerca, che è ricerca
dell’attenzione. Attenzione che può essere a una scena di vita, a un panorama,
a un’insieme di colori, a un movimento ecc.
Allora è chiaro che, visto da questa prospettiva, il mezzo -
digitale o analogico che sia - riveste un’importanza relativa.
Ovviamente anche il mio stato personale entra nel campo di
questa ricerca, è il ruolo dell’osservatore in un fenomeno: più i miei occhi
sono in un certo senso “puliti” (da pensieri, preconcetti, desideri,
aspettative di fare una bella foto ecc) e più riesco a ricevere l’impressione
con una maggiore completezza.
E le volte in cui avviene questo allineamento
soggetto-obiettivo-osservatore e riesco a fotografare “ciò che è” avviene anche
di conseguenza che chi osserva poi la foto , in una esposizione o sul pc ad
es., mi riporta spesso stupito il proprio apprezzamento. Mi è successo un mucchio di volte con le mie esposizioni: più
ero stata presente a quella data impressione durante lo scatto e più il
prodotto finale- la foto - aveva colpito chi la osserva.
Magia della Fotografia! L’importanza dell’”occhio” di chi è
dietro l’obiettivo … Quante volte mi è capitato, ad es. durante le varie esposizioni che ho fatto del mio
lavoro fotografico su Taranto (“Taranto mi ricorda istintivamente Istanbul”,
ed. edit@ 2008) ricevere lo stupore del pubblico che mi chiedeva dove fosse
quello scorcio rappresentato in quella data foto, pur essendo essi stessi del
luogo e pur passandoci e ripassandoci molteplici volte al giorno, a volte senza
accorgersene. E’ fantastico avere questo riscontro “sul campo”, cioè col pubblico, perché
hai la conferma che maggiore
consapevolezza ci metti in uno scatto, maggiore consapevolezza trovi in chi
guarda e te la riporta. Improvvisamente
“appaiono” allo sguardo mille particolari e dettagli che ordinariamente non
avresti notato. L’attenzione è un grandangolo, che allarga la percezione.
- Cosa
attrae il fotografo?
Cosa mi attrae della realtà che mi spinge a fotografare in
quel momento? Me lo sono chiesta molte volte. Cosa mi chiama? Affinando un po’ negli
anni l’attenzione su questo punto: dove nasce una foto? mi sono accorta che ciò che mi attrae è sempre
“una vibrazione”.
Una vibrazione. Può essere un movimento, una vibrazione di
colore, una vibrazione dell’aria, una vibrazione di un sorriso, di una forma,
della luce, una rifrazione… La vibrazione non è forse energia e dunque vita? Mi
interessa osservare la vita.
Del resto l’etimologia stessa del termine “fotografia” la dice tutta su questo
processo e su come personalmente lo intendo quando parlo di vibrazioni: è “scrivere con la luce”.
Nella mia vita professionale “nasco” come biologa, così mi
ha sempre interessata osservare il
vivente (le cellule, il sangue, i batteri ecc), perciò si può dire che da
sempre mi interessa osservare la vita attraverso un obiettivo: ai tempi del mio
lavoro da microbiologa attraverso l’obiettivo del microscopio, oggi attraverso
l’obiettivo della macchina fotografica. E’ lo stesso processo: attraverso la
fotografia osservo le forme, le densità, li colori, i movimenti, i particolari,
le vibrazioni. Osservo in definitiva il passaggio della vita.
Mi piacerebbe fotografare il suono delle campane. E ho in
mente il progetto di arrivare a fotografare l’aria.
- Che
rapporto c'è tra fotografia e ottica?
Be’ nella fotografia intesa
come tecnica, l’ottica è tutto, dal momento che essa è lo studio del l’interazione
della luce con la materia. Le lenti, la cosiddetta’ottica’ di una macchina
fotografica, sono il mezzo che permette la scrittura
della luce, perché è proprio l’obiettivo, che fa convergere la luce emessa
da un oggetto in un punto, come una sorta di pennarello, rendendo possibile “scrivere” la foto.
Alla mia formazione scientifico-biologica devo l’unica
concessione che faccio alla“tecnica”: fotografo con le compatte Sony perché
montano l’ottica Zeiss, la stessa degli obiettivi del mio microscopico di
quando mi occupavo di microbiologia.
Il numero dei pixel e la risoluzione contano relativamente,
essi sono più o meno importanti a seconda dell’utilizzo che farai
dell’immagine, se ti serve per la stampa o per il web. Personalmente, dato che
lavoro soprattutto alla grafica in rete, un numero altissimo di pixel, mi è
d’impaccio se devo preparare formati in pdf o jpg come locandine per convegni,
ad es.
- Che
relazione c'è tra fotografia ed emozioni? Che relazione c'è tra fotografia
ed anima, come ad esempio presso le popolazioni primitive? Quanti tipi o
generi di fotografia esistono?
Personalmente
ritengo che è necessario, anzi direi che oggigiorno è sempre più necessario,
accostarsi all’uso dell’immagine con grande rispetto, delicatezza e una buona
dose di riservatezza nei confronti del soggetto.
In questo caso la
cosiddetta “emozione” c’entra parecchio, perché oggi si assiste sempre più ad
una strumentalizzazione dell’ “emozione” intesa ai nostri giorni nella
direzione sempre più diffusa, e a mio avviso dannosa, della “sensazionalità” ,
piuttosto. Lo scoop a qualsiasi costo, l’immagine che suscita impressione,
sdegno, paura o sempre più forti “emozioni”. Io le chiamerei piuttosto
“reazioni”. A volte, davanti a certe immagini usate in questo senso, la reazione
è talmente forte, che non vedi più, reagisci. Può essere controproducente, se
non dannoso un approccio simile.
A mio avviso si può raccontare tutto, ma proprio
tutto, anche in un’altra maniera, più delicata e rispettosa del soggetto,
appunto; che sia esso un essere umano o
meno, vale lo stesso principio.
Riconosci il grande
fotografo dal modo in cui si è posto egli stesso dietro all’obiettivo, penso ai
grandi maestri come H. Cartier Bresson, Berengo Gardin… ma tanti altri…che
hanno saputo raccontare tutto lo spettro delle emozioni mantenendo sempre vivo
il rispetto verso il soggetto.
E’ chiaro che esistono
tanti generi di fotografia, da quella naturalistica al reportage di guerra, dal
ritratto al paesaggio, dal reportage d’attualità al simbolismo, ecc:
personalmente prediligo le immagini meno didascaliche e più simboliche.
Raramente fotografo
l’infanzia e se lo faccio, non le
pubblico quasi mai. Sì, è vero, presso alcune civiltà così dette
“primitive” l’uso dell’immagine non era ben visto per il timore che un ritratto
potesse “rubarti” l’anima, tuttavia secondo me è qualcosa che ha a che fare più
semplicemente con la riservatezza, un naturale riserbo.
- Che
valore può avere il tempo nella fotografia?
- Non saprei … di che genere di “tempo” parli. Del tempo di esposizione dell’obiettivo, dello scorrere del tempo sui sopporti analogici o digitali e della relativa perdita progressiva della memoria, dell’evoluzione nel tempo del nostro approccio e dell’uso delle immagini, del tempo di preparazione dello scatto se la foto è un’istantanea o uno studio, del tempo interiore del fotografo di fronte a un soggetto, del tempo inteso come ricordo di altre epoche e persone che la fotografia può riportarci, del tempo atmosferico o la connotazione temporale (la moda, l’epoca, la società) che danno una peculiare atmosfera all’immagine … Sono molteplici i significati che si possono dare alla parola tempo.
Per me una fotografia è riuscita quando sa riportare una sensazione di
senza tempo.
Gianna Tarantino